da La Voce di Trieste 30 gennaio 2014
Noi lo scriviamo da almeno un anno, ma l’indisponibilità od
inettitudine dei politici locali a capire di traffici e porti internazionali
sembra impermeabile anche a questo problema sovrano del futuro del Porto Franco
di Trieste.
In sostanza, sta avvenendo un mutamento epocale che sinora si era avuto
solo con l’apertura del Canale
di Suez che ha fatto le fortune di Trieste, ed accade in alternativa ad
esso: la rapida riduzione climatica della banchisa apre la rotta artica,
rendendola praticabile per periodi sempre più lunghi dell’anno.
Si sta aprendo cioè la rotta che collega l’Europa alle coste
occidentali delle Americhe, al Giappone ed alla Cina consentendo alle navi di
raggiungerli nel Pacifico settentrionale direttamente dai porti del Mare del
Nord e del Baltico, lungo le coste russe, in 30-35 giorni invece dei 48 della
rotta di Suez, come bene si vede dall’illustrazione del Wall Street Journal che pubblichiamo.
Questo significa dover prevedere uno postamento stagionale crescente,
ed abbastanza rapido, di grandi volumi di traffico marittimo delle merci con le
Americhe, e con l’Estremo Oriente in particolare dalla rotta di Suez che arriva
ai porti del Mediterraneo, a quella artica, che arriva ai porti del Baltico e
del Mare del Nord, avvantaggiandoli.
Il che fa anche acquisire un ruolo europeo decisivo, ma sinora poco
discusso, all’asse Baltico-Adriatico, come corridoio di trasporto terrestre
delle merci dell’area l’area mediterranea, e dell’oltre-Suez più vicino
(Africa orientale, Arabia, India, Indocina, Indonesia) non solo con
l’Europa nordorientale, ma anche e soprattutto con le Americhe, il Giappone e
la Cina.
A questo punto si comprende dunque il perché vi siano da alcuni anni,
come abbiamo già scritto innumerevoli volte, attività politiche italiane così
intense per postare lo sbocco dell’asse
Baltico-Adriatico dai suoi terminali naturali e più logici di Trieste, Koper e
Rijeka, ai porti della penisola italiana, ed a quali.
E si comprende meglio anche il perché delle operazioni politiche locali
e nazionali per ridurre la capacità di lavoro potenziale enorme del porto
franco di Trieste rifiutandosi di attivarne il pieno regime giuridico di favore
fiscale, ed occupandolo con speculazioni edilizie ed immobiliari urbane e
rigassificatori a terra. Come
il perché della necessità di Trieste e dei triestini di reagire
finalmente e con la massima rapidità ed energia a
queste operazioni di strangolamento economico.
Il comportamento delle teste di
ponte politiche locali di queste operazioni ne sta rendendo inoltre evidente un
altro aspetto molto interessante: oltre che allo sviluppo del porto di Trieste
si stanno opponendo anche agli sviluppi, conflittuali o meno, di quello di
Venezia.
E questo significa, in sostanza, favorire il dirottamento dell’asse
Baltico-Adriatico molto più a sud, e precisamente sui porti della Campania,
della Calabria e della Puglia, che sono per buona parte sotto il controllo
della grande criminalità organizzata, che possiedono reti economiche e
d’impresa internazionali
ed avanzatissime.
A differenza dall’inetto e non poco corrotto sistema politico ed
istituzionale italiano, le cui operazioni contro il porto franco internazionale
di Trieste pongono da alcuni anni anche degli interrogativi antimafia molto
seri, ed ormai pubblici, ai quali si rifiutano però di rispondere politici,
partiti, prefetti, procure. Come si diceva un tempo anche a Trieste: verfluchte
Kombination..Ma farebbero bene a svegliarsi su questo problema anche i porti
sloveno di Koper e croato di Rijeka, facendo fronte comune con Trieste.
[Ek.]
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